Quando vedo tutto nero…Nigredo (II parte)

[continua dall’articolo precedente] Spesso la reazione che l’essere umano ha di fronte a tale situazione è di rabbia e di aggressività verso l’apparente causa del suo dolore, ma questo non fa che peggiorare il proprio stato d’animo. È come quella di un animale feroce che viene catturato e più si innervosisce, più non riesce a trovare il modo di divincolarsi dai lacci che lo tengono stretto in trappola. In questo circolo vizioso, se si dà ascolto alla parte più primitiva dell’essere umano, non si fa altro che scatenare una serie di reazioni meccaniche, tipiche della macchina biologica umana, che non aiutano però a liberarsi dalla pece, anzi rischiano di invischiarci ancora di più in essa.

L’unica cosa che si può fare a questo punto è decidere di istituire una figura nuova nella propria mente: il Testimone. È una funzione dell’Io che registra quello che accade senza giudizio, si sforza di farlo senza porvi rimedio, non tanto perché spera nell’intervento di un “deus ex-machina”, ma perché riconosce il tempo della non-azione. Il Testimone è un arbitro imparziale che segna i punti, senza simpatia per alcuna delle due squadre che si fronteggiano. Occorre essere ben consapevoli che non esiste buono e cattivo, giusto ed ingiusto, ma ci sono dei fatti, una storia, una successione di azioni, che provocano attrito nell’essere umano. Se non si prendono le dovute distanze da ciò che accade dentro di noi, non è possibile individuare i fatti e comprenderli. Ripeto: individuarli e poi comprenderli.

In un primo momento, quello che avviene è che ci rendiamo conto, con un certo ritardo, di trovarci in un vicolo cieco in cui occorre inserire la figura di un testimone che segni i nostri passaggi, prima di cadere nella grotta buia. Comunque può essere fatta anche dopo l’accaduto, quando si è fuori dall’evento specifico. A volte occorre lasciar passare del tempo ed inserire una distanza anche fisica tra noi e la situazione che ha provocato in noi dolore. Questo non significa scappare, distrarsi o consolarsi, ma occorre cercare uno spazio di non giudizio, in cui il proprio Testimone può operare al meglio.

Aldilà del bene e del male c’è uno spazio, incontriamoci là.

[antico detto Sufi]

Col tempo si avverte uno stato di tregua, un nuovo spazio è stato creato, la gabbia ora sembra più larga, la strada chiusa non è davvero senza uscita. In questa situazione sarà possibile camminare senza sbattere subito contro le sbarre della cella. La prigione c’è ancora ma la sua visione è più nitida, la si può misurare e la calma, che ora è presente in noi, ci permette di percorrere lo spazio intorno, sprecare meno ossigeno e quindi avere più tempo e più energia per elaborare la nostra nuova strategia di ri-uscita. ->> per la pratica in cucina e a tavola ->> clicca qui!

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